Quanti, nelle strategie di comunicazione interna, criticano o tendono ad accantonare l’utilizzo dei magazine aziendali, sottovalutano l’importanza di questo strumento e la sua capacità di imprimersi nella memoria e nella esperienza interne di una realtà produttiva. Di fare rete. Di motivare il personale. Di raccontare notizie e storie che, altrimenti, resterebbero nell’oscurità. Di rendere omaggio al valore della trasparenza e, conseguentemente, creare empatia. All’interno e all’esterno.
Partiamo da un presupposto: stiamo parlando di un prodotto editoriale e giornalistico diverso da quelli che siamo abituati a collocare in un’edicola o a sfogliare dal parrucchiere. Il magazine aziendale, che molti chiamano “giornalino”, è qualcosa di particolare e a sé stante.
Come scrive Dario Russo su Linkiesta, “questo prodotto non ha solo lo scopo di far conoscere l’azienda e il brand ma è anche uno strumento di marketing con il quale è possibile veicolare tutta la comunicazione aziendale”.
Russo cita – tra i magazine aziendali che si diffusero dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e che ben presto divennero uno strumento di comunicazione sociale e culturale esteso anche ad altri ambiti – il caso emblematico de “La civiltà delle macchine”, il periodico informativo di Finmeccanica nato nel 1953 con la collaborazione anche di grandi intellettuali italiani come Alberto Moravia e Giuseppe Ungaretti.
Con gli anni, anche aziende piccole hanno voluto e realizzato il loro giornalino per gli scopi più diversi: informare e coinvolgere il personale, promuovere la cultura aziendale, posizionarsi nella sensibilità collettiva non solo come produttori ma anche come protagonisti del tessuto sociale in cui operano e di cui sono consapevoli.
Nel mio piccolo, ho realizzato di recente con “L’Ufficio Stampa” una significativa esperienza di comunicazione interna tramite una newsletter inviata a tutti i dipendenti e i collaboratori di un’azienda operante nel settore manifatturiero avanzato. Uno strumento che, per scelta della direzione, in una fase in cui era necessario potenziare il messaggio (focalizzato su alcuni valori ben determinati e un progetto di crescita), è stato trasformato in un vero house organ aziendale cartaceo.
Un giornale recapitato ai dipendenti o “associati”, come il management aziendale ha iniziato a chiamarli per sottolinearne il coinvolgimento nelle sorti dell’avventura imprenditoriale.
All’interno del magazine, oltre a programmi e a valori, sono state inserite anche interviste ai dipendenti sui loro hobby e su come trascorrono il tempo libero. E, in copertina, abbiamo sempre e comunque pubblicato foto degli “associati”, artefici dei successi dell’azienda al pari dell’imprenditore.
Fermo restando il prevedibile effetto positivo del passaggio da una newsletter digitale al magazine cartaceo (toccare e sfogliare l’house organ è cosa diversa dal leggere un’email e non è facile cestinarlo), la vera “rivoluzione” è stata l’aver ribaltato l’attenzione tradizionalmente focalizzata sui vertici di un’azienda spostandola sulla base. Ci si è accorti, all’improvviso, che quelle sedici pagine parlavano anche delle persone che lavoravano in azienda e non solo dell’azienda. E l’interesse verso i contenuti è cresciuto.
Un’ultima considerazione. Se entro in un’azienda e vedo sugli scaffali il giornalino aziendale, sarò portato – qualunque sia il mio ruolo – a pensare che quella realtà voglia raccontarsi in una maniera diversa. Più intima, più vera e più sincera. Obiettivo centrato, dunque. E questo senza che abbia neanche dato uno sguardo ai contenuti del magazine.
Anche questa è comunicazione. Anche questo è marketing.
Foto di Karolina Grabowska da Pixabay
Nicola Catenaro